Dentro le scatole di plastica, sotto le pellicole, nei barattoli d’alluminio e sovrastato da coreografici impiattamenti il cibo appare sempre più intrappolato dalle necessità commerciali. Il suo valore di nutrimento, la poesia di certi sapori, la bellezza del convivio paiono non avere più molto valore, almeno in termini economici. Globalizzato, destrutturato e appiattito dalle due dimensioni della sua immagine sembra sempre più privo di profumi, consistenze ed emozioni.
Se è vero che anche l’occhio vuole la sua parte lo è altrettanto il fatto che, quando si parla di cibo (e smettiamola di chiamarlo food!) si parla di materie prime, della costruzione di un piatto come esperienza sensoriale, di ingredienti singoli e dei loro sapori, di consistenze diverse e di un’armonia che difficilmente può trapelare da uno scatto e che spesso è persino complicato descrivere a parole.
Il cibo in definitiva basta a sé stesso, un pessimo piatto si riconosce al primo boccone, un buon piatto sa invece raccontare la qualità dei suoi ingredienti e le scelte che lo caratterizzano e in entrambi i casi aggiungere altro può rischiare di essere superfluo. Ciò che realmente si può dire di più (altrimenti non staremmo qui a blaterare) per fornire maggior valore ad una pietanza è quel che i sensi non possono percepire: l’emozione.
Raccontare il cibo è trovare l’incontro tra i sensi e la storia che c’è dentro le cucine e prima dei piatti, è rivelare le idee e le sensazioni, è riuscire a trasmettere la gioia di certi incontri e il piacere di certe scoperte, è ricreare, paradossalmente anche a parole, quelle suggestioni che ammutoliscano bocche ed animi per quel secondo che basta a renderle eterne.
In questa direzione lavora lo chef Marco Rossi del ristorante La Mugnaia di Ivrea che in una serata organizzata per unire e sensibilizzare gli attori di questa realtà ha voluto e saputo raccontare con ogni mezzo questa sua idea (che somiglia molto alla mia) di cibo come esperienza, attraverso un percorso culturale, emozionale e gastronomico illustrato da materie prime ricercate ma non necessariamente blasonate, rievocazioni e momenti di spettacolo grazie a Ciro Lubrano Lavadera e la sua proposta di Ristorantologia che con simpatia ha fornito spunti di riflessione interessanti sull’argomento.
Il menù costruito ad arte ha saputo disegnare con molta grazia i contorni dell’Italia tutta e articolare quasi un resoconto sentimentale di una tavola nazionale ricca, elegante e suggestiva e al contempo ha dato un’idea molto precisa del significato più profondo di quella cucina naturalmente buona di cui Marco ha fatto la sua bandiera.
I gusti rustici e unici come quello della sasaka e dei fagioli piattella, eccellenza agricola del canavesano, si sono intrecciati con il profumo evocativo della tometta della Valchiusella, scelta personalmente da Marco tra le poche prodotte in valle, tre diverse consistenze di una stessa trota hanno sfiorato il velluto di una crema di fave impreziosita da baccalà e gamberi crudi e accanto all’odore della terra e del fieno in cui è stato cotto un tenerissimo cosciotto di maialino ha trovato posto quello irruento e verace della bufala affumicata.
Raccontare il cibo altro non è che un viaggio in ogni direzione possibile, oltre i limiti e oltre le mode, alla ricerca di un’idea di nuovo e del gusto essenziale che hanno le emozioni sincere. Un viaggio senza meta di cui La Mugnaia, nel cuore di Ivrea, con questa sua aria romantica e colta (ma non snob) da bistrot d’oltralpe potrebbe essere un ottimo punto di partenza.
La Mugnaia è a Ivrea (TO)
via Arduino 53
Tel. 0125 40530
Mail info@lamugnaia.com
www.mugnaia.com