Quando parlo di sostenibilità non mi riferisco a sole pratiche ambientali ma a una riflessione etica più ampia e complessa, che ha a che fare con tutto ciò che riguarda i nostri consumi e l’impatto che generano non solo sul verde che ci circonda ma anche su animali e persone. Se escludiamo dal discorso le grandi decisioni che andrebbero prese da parte dei governi e che il movimento Friday For Future chiede da anni a gran voce, restiamo noi e ciò che ogni giorno decidiamo di fare o non fare. Azioni che magari non cambieranno tutto ma che, se compiute con consapevolezza e condivise largamente, possono fare la differenza, influenzando anche il mercato e l’impatto di ciò che consumiamo.
In questo articolo non intendo offrire una soluzione a tutto ma, occupandomi di cucina e passando in cucina gran parte del mio tempo, per lavoro e per passione, ho pensato di raccogliere una serie di consigli pratici, che appartengono da anni alla mia quotidianità e di cui, dunque, posso parlare con cognizione di causa. Non parleremo di autoproduzione, di fare l’orto, di compostare l’umido e di rendersi autosufficienti – insomma niente “Casa nella prateria” – ma di piccoli gesti utili a ridurre la profondità del segno che lasciamo su questo pianeta e di come possiamo continuare a vivere senza rivoluzionare la nostra vita, facendo però, nel nostro piccolo, la differenza.
Fare il menù settimanale e ridurre gli sprechi
Lo so, rischio di diventare una predicatrice del menù, ma non smetterò di dire quanto questo sia fondamentale per ridurre lo spreco di cibo. Programmare i pasti in anticipo ci consente di riempire il carrello della spesa con consapevolezza, acquistando ciò che ci serve e quindi di arrivare alla fine della settimana senza gettare via cibo acquistato in eccedenza.
Lo spreco alimentare non è solo un peccato, come ci hanno insegnato i nostri genitori, ma è un problema ambientale enorme. È il motivo per il quale tutto il motore produttivo del cibo lavora a ritmi forsennati. Tutto il cibo che compriamo, anche quello che poi finisce nel secchio della spazzatura, contribuisce alla domanda di mercato e spinge l’intera macchina a produrne in quantità enormi – decisamente superiori a ciò che consumiamo davvero – con implicazioni che riguardano le emissioni industriali, la qualità dei terreni, l’affollamento degli allevamenti, l’abuso di sostanze per proteggere coltivazioni e animali che interferiscono con i cicli naturali e inquinano le falde e il lavoro delle persone che si occupano di mandare avanti a ritmi folli il carrozzone che porta sui ripiani del supermercato e poi nel nostro frigo e nella nostra dispensa tutto ciò di cui ci nutriamo.
Come consumatori possiamo essere molto più responsabili e ridurre la richiesta a ciò che ci occorre davvero, dal momento che abbiamo spremuto questo pianeta e anche molti dei suoi abitanti ormai fino ad arrivare al limite. Rientra in questo consiglio anche quello di valutare con attenzione le porzioni (qui si può fare riferimento alle porzioni consigliate dall’Istituto Superiore di Sanità) e non generare spreco laddove questo sia evitabile. Mi riferisco a cose semplici, come, per esempio, non cucinare troppa pasta o troppa carne, ma valutare la porzione in base al numero dei commensali in modo da non avere avanzi. Nel mondo occidentale, escluse alcune realtà fragili, non c’è pericolo di morire di fame, non è sempre necessario fare il bis e abbuffarsi fino a esplodere e dunque non serve sempre avere a disposizione un extra che poi rischia di trasformarsi in scarto. Si tratta di una piccola attenzione che può avere un impatto positivo non solo sull’ambiente ma anche sulla nostra vita quotidiana, poiché comprare meno vuol dire anche risparmiare un bel po’ e questo è un bell’incentivo a provarci.
Bere acqua del rubinetto
Esclusi problemi localizzati in aree molto ristrette, la qualità delle acque di acquedotto italiane è molto alta. Proviene da fonti sicure e inoltre viene controllata con molta più frequenza delle acque in bottiglia di cui, purtroppo, il nostro paese abusa. La legge infatti prevede che le acque in bottiglia vengano analizzate una volta l’anno per valutarne la qualità, mentre le acque degli acquedotti vengono campionate quotidianamente e spesso anche più volte al giorno, il che ne garantisce una sicurezza ampiamente superiore.
Il sistema di acquedotti italiani garantisce la qualità delle proprie acque fino all’attacco condominiale o casalingo, dunque eventuali problemi di contaminazione possono riguardare l’impianto del posto dove viviamo. Quando ci siamo trasferiti in questo appartamento abbiamo fatto verificare l’acqua da un’azienda che si occupa proprio di questo e che ce ne ha certificata la qualità eccellente sotto tutti gli aspetti. Sono esami di cui si può occupare il condominio o che si possono richiedere autonomamente, in modo da berla con tranquillità. In caso di problemi legati alle tubazioni (rilascio di metalli, presenza di batteri, di ruggine o di terriccio) si può prendere periodicamente l’acqua nei punti di distribuzione gestiti dall’acquedotto, utilizzando bottiglie in vetro riutilizzabili e risolvendo con un’acqua in bottiglia decisamente più sostenibile. In questi punti spesso è disponibile anche, a un costo irrisorio, l’acquisto di acqua di rubinetto già gasata. Se amiamo l’acqua frizzante potremmo valutare di acquistare un gasatore.
Non esiste invece alcun rischio di salute legato alla quantità di calcare presente nelle acque di acquedotto. Sebbene, infatti, vi sia ancora una nutrita quantità di persone e professionisti che sconsigliano l’acqua di rubinetto per ridurre il rischio di calcolosi, è stato ormai ampiamente provato che non siamo lavatrici e che il carbonato di calcio presente nell’acqua non contribuisce alla formazione dei calcoli che sono invece formati da ossalato di calcio, una sostanza diversa. I calcoli, come ben spiegato e argomentato con fonti scientifiche in questo articolo dell’Istituto Superiore di Sanità, dipendono da una predisposizione individuale e da un errato stile di vita.
Se il problema dell’acqua di rubinetto resta il gusto, ci sono alcuni accorgimenti che possiamo mettere in atto. Il più frequente degli odori molesti è quello del cloro, che viene utilizzato negli acquedotti come disinfettante e del quale percepiamo l’odore non appena l’acqua esce dai nostri rubinetti. Basta lasciar decantare l’acqua in un contenitore aperto per qualche minuto per liberarsene: il cloro infatti è una sostanza chimica assai volatile che, a contatto con l’aria, evapora in fretta. Il gusto, invece, dato da un acqua ricca di sali minerali, può essere migliorato utilizzando dei sistemi filtranti. Tenendo comunque presente che i filtri di depuratori e caraffe non possono in alcun modo migliorare l’aspetto microbiologico dell’acqua e dunque la sua sicurezza, ma si limitano a demineralizzarla (come bere quasi acqua per il ferro, insomma, perdendo sostanze nutritive), dunque valutiamone sempre un opportuno utilizzo, poiché anche questi dispositivi producono scarto in plastica e generano consumi extra.
Il vero vantaggio, in termini di sostenibilità, di bere acqua del rubinetto sta soprattutto nel ridurre le emissioni generate dal trasporto – che avviene per larga parte su gomma – del prodotto in bottiglia. Ogni bottiglia da un litro di acqua pesa 1 kg più il peso dell’involucro (dunque le acque in vetro pesano decisamente di più) e ogni giorno si muovono lungo le autostrade migliaia di camion carichi di tonnellate di acqua che richiede tonnellate di carburante e genera dunque un inquinamento significativo del quale potremmo con semplicità fare a meno. A questo si aggiunge una riduzione drastica della produzione e del trattamento delle plastiche e di tutti gli involucri atti a contenerla.
Anche i servizi di consegna delle acque a casa contribuiscono a questo tipo di inquinamento poiché quelle acque vengono acquistate in grandi quantità e anche a grande distanza e dunque, prima di finire sui piccoli furgoni – magari pure elettrici, magari – hanno prodotto montagne di CO2 di cui il pianeta avrebbe fatto volentieri a meno. Anche questa, infine, è un’abitudine che può portare un notevole risparmio e dunque anche in questo caso, l’incentivo economico può motivarci.
Variare i consumi legati alla propria alimentazione
Il benessere delle nostre generazioni ha fatto letteralmente esplodere il consumo di carni e pesci provocando un’intensificazione e massificazione degli allevamenti e delle coltivazioni. I soli allevamenti intensivi ormai inquinano più della auto e anche la coltivazione intensiva aggiunge la sua parte, dunque porre maggiore attenzione su cosa consumiamo e da dove arriva può essere un contributo importante a ridurne le conseguenze.
Mangiare meno cibo di origine animale, al netto delle riflessioni etiche che ciascuno può o vuole fare sulla vita di questi animali, è non solo un gesto di sostenibilità ma anche un atto di salute. È ormai provato, infatti, che il consumo eccessivo di carne, pesce e derivati animali abbia un impatto significativo sul nostro benessere fisico. Possiamo diversificare i nostri consumi senza fare scelte drastiche, arricchendo la nostra dieta di legumi e piatti vegetali e investire quei soldi risparmiati nell’acquisto di carne o pesce provenienti da piccoli allevamenti, in cui sia garantita maggiore attenzione al benessere ambientale e umano.
Acquistare prodotti etici
Nel paragrafo appena sopra ho parlato di benessere umano e qui torno sull’argomento poiché ha strettamente a che fare con la sostenibilità di ciò che mangiamo e con l’acquisto di prodotti che non abbiano un impatto negativo sulla vita di chi li produce.
Parlo dei pomodori raccolti sotto al sole cocente da persone sfruttate, maltrattate e sottopagate, e che solo per questo possiamo pagare pochi centesimi al chilo, ma anche del fatto che molti piccoli contadini o allevatori si trovino costretti a svendere i propri prodotti a grandi gruppi, riducendo così la propria fetta di guadagno necessario e dunque anche il loro stato di benessere e quello delle loro piccole aziende produttive. L’implicazione umana non può essere dimenticata: quanto costa in termini di qualità della vita degli altri quello che mangiamo?
Anche questa attenzione ci rende più sostenibili e il risparmio prodotto da abitudini più sostenibili di cui ho parlato nei paragrafi precedenti ha a che fare anche con il consentirci di comprare meno e al giusto prezzo, economico e umano. Preoccuparsi del benessere animale e dei terreni è fondamentale ma non scordiamoci che dietro a ogni prodotto c’è una filiera fatta anche di persone che potremmo essere noi, o persone che amiamo, e a cui dobbiamo rispetto.
Acquistare prodotti sfusi
Il pack dei prodotti di cui ci nutriamo, gli imballi che occorrono al loro trasporto, le confezioni che servono per renderli più appetibili al consumatore sono uno dei motivi di maggior produzione di inquinamento da plastiche ma non solo. Anche il vetro e la carta richiedono lavorazioni industriali, dunque non sono esenti da questo problema, per quanto meno impattanti. Moltissimi alimenti possono essere acquistati sfusi senza grande fatica. Ci sono ormai tanti negozi specializzati nello sfuso su tutto il territorio nazionale e spesso lo sfuso resiste anche nelle piccole botteghe di quartiere e di paese oppure si trova nei mercati. Io da anni mi rifornisco di legumi, cereali, frutta secca, olive, spezie e molto altro presso i banchi del mio mercato di riferimento. Mi porto dietro i miei contenitori in vetro (per gran parte riciclati, ma ci torniamo dopo) e me li faccio riempire direttamente, azzerando così l’uso di imballi che, anche se riciclabili, creano uno spreco non necessario.
Lo stesso discorso si può applicare a tè, tisane che nelle erboristerie si trovano comodamente sfusi e che possiamo tenere in vasetti riciclati e puliti, oppure per il caffè che è meglio acquistare in grani o in polvere, evitando il più possibile le capsule e le cialde, che generano enormi quantità di spazzatura il cui riciclo – laddove si tratti di involucri riciclabili – richiede comunque un enorme investimento di risorse. Noi da qualche anno ormai abbiamo ceduto la nostra macchina a capsule e abbiamo acquistato una macchina che funziona anche con la polvere da espresso: fa un ottimo caffè, come al bar, con tanto di schiumetta (e ha pure il vapore per il cappuccino da fare a casa). Abbiamo preso questa e ci troviamo benissimo, ma i modelli sul mercato sono davvero tanti e l’investimento vale la spesa, anche in termini di risparmio. Per il caffè sfuso, se se ne hanno a disposizione, ci si può rivolgere alle piccole torrefazioni locali oppure scegliere confezioni con involucri differenziabili.
Sfusi si possono acquistare anche i vini alla spina, riutilizzando damigiane e bottiglie. Ci sono vinerie che se ne occupano ormai ovunque – solo nel mio quartiere ce ne sono due – e spesso anche i produttori offrono questo servizio di cui si può approfittare facendo scorta una sola volta per un’intera stagione anche a prezzi molto ragionevoli.
Acquistare prodotti di stagione e il più possibile locali
Le fragole a febbraio, i pomodori tutto l’anno sui banchi del supermercato, le ciliegie a Natale, l’anguria da aprile a novembre, melanzane, peperoni e zucchine sempre a disposizione sono ormai la normalità eppure niente di tutto questo è naturale.
Frutta e verdura hanno i loro cicli riproduttivi – i frutti che mangiamo sono il modo che hanno le piante di propagare la specie – e dunque a seconda delle temperature e dei terreni su cui vengono coltivati hanno un periodo limitato di crescita naturale. Tutto il resto sono serre riscaldate a corrente elettrica – prodotta a carbone, ovviamente – o prodotti che arrivano sulle nostre tavole viaggiando per mezzo mondo su navi che consumano quanto un quartiere, ogni ora e e sporcano i nostri mari.
Insomma, per quanto ormai il mercato ci offra di tutto, se facciamo lo sforzo di imparare a scegliere certi ingredienti quando sono di stagione, possiamo fare spese molto più oculate e risparmiare anche in questo caso, giacché i prodotti fuori stagione hanno, per forza di cose, prezzi molto più alti (e dove non costano di più, chiediamoci chi e come paga quel prezzo, nella filiera produttiva). Online si trovano molti elenchi di frutta e verdura delle nostre stagioni da consultare, mi sento anche di consigliare questo pieghevole che ho acquistato anni fa e che mi è sempre molto utile.
Anche privilegiare gli acquisti locali è una buona abitudine che giova non solo alla riduzione della movimentazione delle merci ma è anche di sostegno all’economia di prossimità. Ovviamente non tutto può essere acquistato a km 0, perché certi frutti o verdure crescono solo a determinate latitudini, ma possiamo comunque scegliere la provenienza più vicina.
Evitare il monouso
A un certo punto di questo mio percorso ho cominciato a pormi il problema di ridurre al minimo l’utilizzo di tutti quegli strumenti usa e getta che in cucina sono utilissimi ma che producono moltissimi rifiuti, così mi sono messa a caccia di alternative ragionate.
Prima di tutto ho sostituito il grosso dell’uso che facevo della pellicola per alimenti con contenitori richiudibili e lavabili. Me ne sono procurata una bella scorta e fatta la spesa una volta sono a posto da anni e per molti anni a venire. So che in commercio esistono anche alternative come le pellicole a base di cera d’api ma mi sono sempre sembrate poco pratiche (vanno lavate con attenzione) e forse non sempre igieniche (trattandosi di materiali delicati non si può usare acqua calda e spesso neanche dei detergenti sgrassanti). Non le condanno e restano un’ottima alternativa sostenibile, a patto di conoscere anche la provenienza della cera e il trattamento delle api che l’anno prodotta.
Per la carta da forno ho acquistato dei fogli di carta da forno riutilizzabile. Non amo molto il silicone e l’odore che lascia sui cibi (so che molti non lo sentono, io me ne accordo anche se vado al ristorante, quindi evito) e questa si è rivelata la scelta vincente per ogni tipo di cottura. Si lavano con spugnetta e sapone e, a parte qualche macchietta da utilizzo, data soprattutto dai grassi, basta un po’ d’acqua e sapone per farli tornare come nuovi. Essendo totalmente antiaderenti, lo sporco viene via in un attimo. Si possono anche tagliare per aggiustarli alla grandezza delle nostre teglie. I miei li ho presi da Tiger, ma questi hanno lo stesso prezzo e grandezza.
Non ho trovato alternative utili alla carta alluminio, che io utilizzo unicamente per proteggere alcune cotture (la pratica di usarla per avvolgere gli alimenti è poco sana, giacché molto di quello che mangiamo ha ph acido e reagisce con il metallo). La compro forse una volta ogni tre anni e cerco di riutilizzare il più possibile i fogli che taglio, in modo da ridurre al minimo lo spreco.
Non utilizzo stoviglie monouso, anche perché le trovo orribili. Anzi, quest’anno mia mamma mi ha regalato il suo servizio buono e, dopo 40 anni in vetrina, è una gioia vederlo vivere sulla mia tavola di tutti i giorni. Per le occasioni in cui ho più ospiti a cena, ho acquistato molti anni fa due servizi economici di piatti, bicchieri e posate Ikea che tengo in scatola nello sgabuzzino e tiro fuori al bisogno. I piatti in ceramica, vetro e porcellana sono un gesto di cura per chi mangia alla nostra tavola, per noi stessi e per l’ambiente. La lavastoviglie rende certamente più semplice questa scelta, e ormai esistono di tutte le dimensioni, anche adatte alle cucine più piccole. Consideriamo anche quello, un investimento sull’ecologia.
Per lo scambio di vettovaglie e la conservazione degli alimenti attingo alla mia ampia scorta di contenitori e praticamente ho messo su negli anni un ricircolo di queste scodelle tra amici. Se non torna la mia, ne tornerà qualcun altra e via così. In questo modo evito di acquistare e consumare vaschette in alluminio e sacchetti di plastica monouso. Gli unici sacchetti che ho acquistato – una volta sola e da allora li riutilizzo – sono quelli con la chiusura ziploc “apri e chiudi” che rutilizzo per la conservazione o il trasporto occasionale di ingredienti secchi.
Non uso più gli stecchini per provare la cottura dei dolci ma ho acquistato da anni un tester riutilizzabile. Per coprire barattoli aperti, vasetti, bicchieri e teglie utilizzo i coperchi in silicone di Ikea. L’unica cosa che non sono riuscita a sostituire del tutto i sac a poche usa e getta. Quello in stoffa è perfetto per le creme ma per la decorazione dei biscotti con la ghiaccia non mi sono trovata bene. Così ne limito l’utilizzo solo a quella occasione e poi li differenzio correttamente.
La tovaglia o il runner sono di stoffa e mi sto impegnando anche a sostituire i tovaglioli di carta per la tavola (mi ha sempre frenata il timore di dover strofinare la stoffa per eliminare macchie e aloni). In ogni caso anche di questi ne utilizziamo uno a testa per pasto, limitando al minimo lo spreco. Qui lascio un utile tutorial della mia amica Grazia di Rocchetti e Pois per realizzare in casa dei tovaglioli semplici e bellissimi e anche il link allo shop di Sara che realizza dei bellissimi rotoli di carta assorbente lavabile.
Ridurre lo spreco di acqua
L’acqua in cucina è fondamentale per le cotture, per la pulizia degli ingredienti e degli strumenti ed è anche l’ingrediente che sprechiamo di più, soprattutto vivendo in contesti in cui l’acqua corrente è sempre disponibile. Il peggiorare delle condizioni climatiche ha portato e porterà sempre maggiore siccità, e anche sul territorio italiano ci sono zone in cui, durante l’estate, l’acqua viene razionata. È un bene prezioso che dovremmo imparare a non dare così tanto per scontato.
Alcuni gesti possono diventare automatici con pochissimo impegno: per esempio quello di chiudere il rubinetto quando non stiamo utilizzando l’acqua che corre. Se possibile evitiamo di lavare i piatti a mano. La lavastoviglie è molto più efficiente e consuma molta meno acqua, soprattutto se utilizzata a pieno carico e usufruendo dei cicli eco che le macchine di ultima generazione offrono.
Per essere ancora più virtuosi possiamo imparare a raccogliere e riutilizzare l’acqua del lavaggio delle verdure, che può essere utilizzata per annaffiare le piante, oppure riutilizzare l’acqua di cottura di verdure e pasta. La prima può essere utilizzata per cuocere la pasta, per esempio, alla quale darà anche un leggero aroma oppure come base per brodi e zuppe. La seconda è perfetta per l’ammollo delle padelle sporche di sugo ed è un ottimo sgrassante. Io scolo sempre la pasta con una schiumarola, la manteco in padella con il suo sugo e, una volta servita nei piatti, verso l’acqua della pasta nel tegame. Dopo pranzo ci vuole un attimo per lavare via tutto.
Utilizzare le parti meno nobili dei cibi
È sempre il benessere che negli anni ci ha portato a considerare scarti molte parti dei cibi che acquistiamo, sebbene questi siano del tutto edibili e risorse preziose per arricchire la nostra cucina.
I gambi dei carciofi, quelli dei broccoli e del cavolfiore sono deliziosi, così le foglie di sedano, ravanelli e carote, perfetti per fare pesti e frittate, le bucce di patata stanno benissimo sulle patate al forno ma anche fritte diventano chips deliziose e lo stesso vale per bucce di melanzane e zucchine, sono edibili e buoni anche i baccelli dei piselli. Le scorze del Parmigiano o del Grana sono perfette per arricchire zuppe, minestre e brodi, le foglie esterne e meno belle dei nostri ortaggi possono essere lavate, asciugate e conservate in freezer, tutte insieme in un contenitore solo, in modo da ricavarne un delizioso brodo vegetale quando ne avremo messe da parte abbastanza. Alcuni tipi di zucca si possono mangiare con la buccia, con la buccia dell’anguria ci si fa una deliziosa confettura, le bucce dei frutti non trattati possono diventare ingredienti o aromi per i nostri dolci. Insomma, con un po’ di creatività è facile rendere la nostra cucina più varia oltre che più sostenibile.
Lo stesso discorso di applica alle parti meno nobili della carne e del pesce e ai loro scarti: ossa o lische, infatti sono utilissime per i fondi di cottura o per i brodi e alcuni tagli o parti, come le frattaglie, possono essere utilizzati in piatti deliziosi.
Qui di seguito lascio una piccola selezione di ricette dalle quali trarre ispirazione.
Differenziare o riutilizzare le confezioni e gli ingredienti
Ho parlato di confezioni quando ho affrontato la questione degli acquisti sfusi. Non tutto però può essere acquistato privo di involucro che, in molti casi, è indispensabile al trasporto delle merci e alla sicurezza degli alimenti che mangiamo. La mia scelta, in questo caso, ricade sempre su prodotti i cui involucri sono facilmente riciclabili. Verifico sempre le modalità di smaltimento delle confezioni indicata sul pack e scelgo ciò che può facilmente essere differenziato secondo le regole del mio comune. No, quindi, a prodotti con pack misti e indifferenziabili, che ho eliminato dalla mia spesa, prediligendo prodotti simili di aziende più virtuose. Per pack misti intendo, per esempio, le scatole della pasta con la finestra in plastica, oppure le confezioni in tetrapack con apertura in plastica, che deve essere facilmente staccabile e differenziabile.
In molti casi cerco anche di riutilizzare le confezioni di ciò che acquisto. Conservo in un cassetto e riutilizzo i sacchetti di carta che spesso mi danno al mercato o per il pane e, negli anni passati, ho riutilizzato allo sfinimento le vaschette in plastica in cui acquistavo alcuni tipi di frutta e verdura per organizzare il frigorifero. Da qualche anno, comunque, acquisto solo frutti in vaschette di carta (per alcuni frutti delicati le vaschette sono indispensabili).
L’intero armamentario di vasetti di vetro che possiedo e in cui conservo legumi, cereali, frutta secca, farine e spezie è stato riciclato da acquisti o regali. Se riutilizzo i vasetti per le conserve cambio soltanto i tappi che, per ragioni di sicurezza alimentare, non vanno mai riutilizzati per queste preparazioni. I barattoli sono anche comodissimi per portarmi apprezzo acqua, tisane o tè da bere fuori casa, senza alcuna necessità di acquistare borracce di alluminio verniciato la cui sovrapproduzione, tra materiali metallici e delle vernici, potrebbe aver generato più inquinamento dei benefici che ha dato.
Per quanto riguarda gli alimenti, il grosso dello scarto alimentare deve finire nella raccolta dell’umido. Bisogna fare attenzione a eliminare le etichette adesive spesso apposte sulla frutta, se non compostabili, e eventuali pezzetti di cera sui piccioli di mele e pere. Vanno inoltre eliminati e differenziati correttamente elastici, spago e carta che spesso tengono insieme i mazzetti di verdure e erbe aromatiche.
Grandissima attenzione va posta alla raccolta degli oli esausti che non vanno mai mai mai (mai l’ho detto?) riversati nelle acque di scarico. Un litro d’olio è in grado di inquinare un milione di litri di acqua: una quantità enorme! Gli oli esausti della frittura vanno raccolti, una volta freddi e conferiti nelle piazzole ecologiche o nei punti di raccolta che sono presenti in alcune città. Visto che l’isola ecologica non è esattamente sotto casa, io raccolgo gli oli in una tanichetta riciclata e periodicamente vado a svuotarla. Molto dell’olio di conserva di verdure, pesce e carne in barattolo può essere riutilizzata in cucina, se invece non si desidera farne questo uso, anche questi oli vanno raccolti e conferiti allo stesso modo di quelli esausti (anche quello sgocciolato dalle scatolette di tonno, sì).
Utilizzare i prodotti giusti per la pulizia
Ahimè, grazie a uno strumento così prezioso e potente come internet, si sono diffuse anche un mucchio di cattive abitudini per quello che riguarda la pulizia della nostra cucina. È infatti assai comune l’abuso di sostanza come bicarbonato e aceto per la pulizia laddove nessuna di queste due possiede davvero potere lavante.
Il bicarbonato è una polvere bianca leggermente basica che, eventualmente può avere una leggera utilità per l’abrasione, se lo utilizziamo per eliminare lo sporco incrostato, ma dobbiamo metterci anche l’olio di gomito e strofinare, altrimenti non serve a nulla. Non ha potere sgrassante giacché non contiene tensioattivi (molecole indispensabili per la pulizia dello sporco grasso) e non ha alcun potere sbiancante, disinfettante o smacchiante. L’aceto è un acido leggero che di per sé potrebbe tornare utile per eliminare, al più, le macchie di calcare. Anche qui nessun potere sgrassante ma – udite udite – un discreto potere inquinante delle acque in cui viene sversato e anche la capacità di rovinare i tubi nei quali passa.
Mescolati tra loro diventano totalmente inutili poiché reagiscono producendo gas e sale. Qui lascio un interessante e utile video di Ruggero Rollini in cui tutto viene spiegato meglio.
L’uso di queste sostanze non solo non è innocuo, genera anche un inutile spreco di risorse utili in altre circostanze e può essere causa di contaminazioni, intossicazioni e altri problemi legati a una cattiva gestione della pulizia dei nostri spazi e strumenti di cucina.
La cucina, gli strumenti e le stoviglie vanno sempre puliti con prodotti pensati a questo scopo e con il giusto potere lavante atto a eliminare residui di cibo – anche invisibili – che potrebbero diventare causa di proliferazione batterica. Per quanto mi riguarda preferisco scegliere un prodotto specifico, meglio se in confezione biodegradabile e concentrata, in modo da usare meno plastica, e da dosare con parsimonia. La migliore alternativa per la riduzione della plastica è l’uso di detergenti solidi in pack di carta.
Utilissimo a ridurre lo sversamento di microplastiche negli scarichi è la scelta di spugne plastic free (quelle di cocco sono anche biodegradabili e compostabili) e l’utilizzo di spazzole in legno a fibre vegetali per pulire le stoviglie e le verdure.
Fare le cose poco per volta e con consapevolezza
Uno degli scogli maggiori, che spesso ostacola un percorso di maggiore sensibilità per questo argomento, è data dalla sensazione di panico da cui veniamo assalitə davanti ad articoli come questa, lo so. Ci sembra di dover cambiare troppo e il cambiamento fa sempre un po’ paura.
Questo articolo nasce soprattutto come spunto a riflettere, a farsi domande che riguardano anche qualcosa di così quotidiano come la cucina, a porci il problema, prima di tutto, ad acquisire consapevolezza e poi trovare soluzioni in grado di conciliarsi con la nostra vita.
Il cambiamento è più semplice se affrontato in maniera graduale ma soprattutto, davanti a un tema con così tante implicazioni, si tratta soprattutto di allenarsi a sviluppare la nostra sensibilità. In questo modo ci verrà naturale modificare un po’ le nostre abitudini senza che questo ci pesi troppo.