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Ho capito che non avrei mai potuto essere una food blogger come tutte le altre quando ho realizzato che mia nonna non faceva la pasta in casa. Né da sola, né con me. Dalla nonna io ci andavo per mangiare il ragù e le polpette, per farmi viziare oltre misura e soprattutto per guardare Yattaman e passare ore infagottatata nel divano a giocare a Rami. Praticamente ho passato l’infanzia arrampicata sugli alberi binari (il che spiega molte cose). Comunque no, non cucinavo, ma mangiavo già con gusto.
Sono nata nerd, in una famiglia stramba e sono cresciuta tra gli ospedali dove lavoravano i miei genitori e un laboratorio dove la nonna – quella del divano con Rami – cuciva pellicce. Ho davvero poche storie patinate da raccontare, nessuna scena da racconti di famiglia perfetta: noi eravamo una casa di pazzi, una nuvola di caos e rumore ma quando facevamo festa c’erano sempre le zeppole di pasta cresciuta e le feste, specialmente quando si è un po’ matti, sono una cosa bellissima.
Le ho fritte sotto tutti i tetti che mi hanno accolta, ovunque abbia messo un po’ di radici, perché non c’è niente più di questo che mi riporta a casa, a quella casa di pazzi che ho amato e che amo, a mia mamma che frigge, a mio papà che suona il pianoforte, a quel rumore che quando ti ci abitui poi diventa musica che ti tiene in piedi e che ballerai tutta la vita. Stavolta le ho fritte per festeggiare il mio papà e tutti i papà del mondo, perché non c’è papà che davanti a una zeppola fritta apposta per lui non si sia sentito un re, almeno una volta nella vita.
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