Ovunque troviamo una versione delle chiacchiere (in Campania si chiamano così) e in questo modo continuo ad appellarle, sebbene lungo lo stivale siano conosciute con una moltitudine di nomi diversi e divertenti: crostoli, bugie, cenci, galani, frappe, fiocchetti e lattughe. E poi ci sono castagnole, frittelle, bignè, graffe e biscotti farciti. Senza scordarci, infine, di torte e dolci più ricchi come il migliaccio, tipico napoletano, o la schiacciata fiorentina. Menzione d’onore per il sanguinaccio, salsa tipica del sud Italia che anticamente veniva arricchita con il sangue di maiale – da qui il nome – e che oggi resta una deliziosa salsa al cioccolato con cui accompagnare i dolcetti fritti.
Uno sguardo alle tradizioni
La tradizione salata di questa festa è forse meno ricca dal punto di vista della varietà ma certo non dal punto di vista dei sapori. Il principe del Carnevale è il maiale e così trippa, fagioli grassi, braciole e polpette la fanno da padroni. Nel napoletano la regina della tavola è la lasagna di Carnevale, ma anche i cannelloni sono una proposta assai gradita. In Salento troviamo la fucazza di Carnevale, un pasticcio di maiale in crosta e nell’Irpino il pastiere, un pasticcio di pasta con formaggi e salumi tipici delizioso.
L’occasione è, insomma, più che ghiotta e non a caso i giorni di questa festa si definiscono “grassi”. Il Carnevale è oggi una festa cattolica che precede i riti della Quaresima ma deriva direttamente dai festeggiamenti dei Saturnali romani e dalle feste dionisiache del periodo greco. Si trattava di riti legati alla fertilità e all’abbondanza, che venivano festeggiati in maschera così da rendersi invisibili agli spiriti maligni e scacciarli via. Il suo nome deriva da “carnem levare“, poiché precede il periodo di restrizioni e di magro che anticipa la Pasqua.
Oggi si tratta di una festa sentita per lo più dai bambini anche se, tracce di quell’antico rito si possono trovare nel Carnevale tipico di alcune città e paesi. Pensiamo al Carnevale di Rio de Janeiro, con i suoi colori e le sue musiche, a quello di Venezia, che si contraddistingue per l’eleganza delle maschere e a quello di Viareggio, ricordato per i suoi carri allegorici curatissimi. Si tratta, in ogni caso di un’occasione di leggerezza – semel in anno licet insanire, come dicevano i romani – che potremmo cogliere tutti per affrontare il futuro incerto con animo più fresco e bendisposto ad accettare quel che ne verrà.